Un caratteristico borgo di origini medievali immerso nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Ecco Novi Velia, il paese aggrappato alla collina, siamo a 630 metri di altezza, e proprio ai piedi del Monte Gelbison, il Monte Sacro, sede di uno dei santuari Mariani più antichi e importanti del Sud Italia, alto ben 1707 metri. È una posizione geografica invidiabile, anche perché a circa venti minuti di auto si trova il mare della Costiera Cilentana.
Novi Velia è un paese ricco di storia, tradizioni popolari, cultura, le cui origini risalgono a tempi antichissimi. Per la sua ubicazione strategica ha da sempre ricoperto un ruolo di primo piano nelle vicende dell’entroterra del Cilento. A testimonianza, gli antichi palazzi, le numerose chiese, la Torre quadrata. Novi Velia fu un importante centro feudale già in epoca Longobarda, divenne poi Signoria sotto le dominazioni Normanne e poi, a lungo, sede Baronale, ospitando nobili e potenti famiglie e l’Abbazia dei Padri Celestini. Fino al 1872 fu anche residenza vescovile.
Potremmo chiamarla acropoli, come nelle antiche città greche, la parte più alta del borgo medievale, da cui iniziare una visita di Novi. Qui troviamo l’ex Chiesa di San Giorgio, l’Abbazia dei Celestini e la Torre Medievale.
Il primo dei tre monumenti: una chiesa dalle origini molto antiche. La prima costruzione risale ai Padri Basiliani (XII secolo), frati laici che in fuga da Bisanzio e dai Balcani si rifugiarono nel Cilento. La Chiesa di San Giorgio dall’orientamento bizantino (est-ovest), per secoli il luogo di culto dei signori locali e punto di riferimento per la vita dello Stato di Novi, è stata recentemente restaurata e restituita all’uso della comunità come ambiente per manifestazioni e convegni. È impreziosita dal massiccio portone ligneo e dagli affreschi risalenti al XIV-XV secolo. Presso il muro orientale dell’edificio si notano anche i resti dello stipite della Porta San Giorgio, uno dei tre ingressi all’antico borgo.
Sull’altro lato c’è l’Abbazia dei Padri Celestini. In origine dimora baronale, l’edificio fu poi donato ai religiosi dal Barone Marzano e, per il primo trentennio dell’800, fu adibito a seminario diocesano. Il complesso conserva la tipica struttura con “celle” dei monaci lungo i corridoi porticati che circondano su due piani il Chiostro al centro del quale è presente l’antico pozzo. Da una porta laterale si accede all’orto dei Celestini, giardino meraviglioso ai piedi della Torre millenaria. Si può anche ammirare il campanile in stile romanico nel quale si riconosce, nella parte inferiore, la natura di torre di guardia.
Attraversando Piazza del Seggio, sulla quale affaccia l’antico Castello Baronale (ora destinato a casa privata), si giunge alla Torre Medievale, simbolo della preminenza politica di Novi Velia sulla vallata circostante. La Torre a base quadrata fu costruita nell’XI secolo dai Longobardi. Fu danneggiata verso la fine del XIII secolo durante la guerra tra Carlo d’Angiò e Pietro III di Aragona e fu ricostruita da Guglielmo Marzano, signore di Novi. La Torre, in origine, era composta da quattro livelli di cui ancora tre esistenti. Punto di avvistamento dei traffici della vecchia Via del Sale o anche carcere, ora è visitabile nei mesi estivi e rimane aperta, con accompagnatore, anche in occasione di eventi invernali.
Scendendo per le panoramiche vie del borgo antico e dirigendoci verso Piazza Longobardi, troviamo due rilevanti edifici storici: il Palazzo Vescovile e la Chiesa di Santa Maria dei Greci.
Novi Velia fu residenza vescovile per quasi tre secoli (1600-1872) e fu scelta per la preminenza politica del paese, per la salubrità dell’aria e per la privilegiata posizione geografica, la quale consentiva al vescovo di visitare frequentemente le varie diocesi circostanti rispettando i patti del Concilio di Trento (1545-1563). Il Palazzo Vescovile apparteneva ai Cocelli, una delle famiglie più antiche e nobili del paese, che lo donarono alla Mensa Vescovile di Capaccio. Poi divenne appunto sede vescovile, oggi è una casa privata.
Adiacente al Palazzo vi è la Chiesa di Santa Maria dei Greci. Voluta dai Padri Basiliani è la chiesa più antica di Novi Velia, ma resta poco della sacralità e della bellezza di un luogo di culto. È stata acquisita dalla parrocchia e restituita alla collettività dopo essere stata a lungo adibita a casa privata.
Scendendo per via Caponovi e via dei Greci e passando sotto un bellissimo arco a volta che unisce due antichi palazzi baronali, si giunge nel cuore del centro storico, Piazza Longobardi che si apre innanzi alla Chiesa di Santa Maria dei Longobardi.
La Chiesa presenta una facciata in stile settecentesco, ma ha origini ben più antiche. Fondata in epoca longobarda, nei pressi di una precedente cinta muraria, è un esempio di architettura religiosa e militare. Ed è uno scrigno di opere d’arte. La parte più antica è la cripta, anteriore all’anno Mille, in stile bizantino ricca di affreschi di epoche diverse. Alla chiesa si accede da un portone sovrastato dallo stemma della famiglia Pinto. Composta inizialmente da una sola navata con pianta a croce latina in stile romanico, fu poi ampliata con le altre due navate nel Settecento anche per adeguarla a residenza vescovile. Quella centrale, la più antica, è impreziosita da un pregevole cassettone ligneo con riquadri decorati a tempera, cui sono sovrapposte cinque tele settecentesche.
Di fianco alla Chiesa di Santa Maria dei Longobardi si può notare un imponente arco denominato Porta dei Longobardi. Era una delle porte di accesso al centro storico e guarda verso il mare.
Portoni, vicoletti, archi: è il Cafasso, uno dei rioni più antichi di Novi Velia, dove si può anche ammirare il panorama che guarda al mare dalla Piazzetta San Pio di Pietralcina. Attraverso il Corso Positano, si arriva invece a Piazzetta Belvedere da cui osservare l’intera vallata di Novi fino alla costa. Superata Piazza XIX Agosto, ecco una strada davvero stretta: Borgo Barri, il rione “commerciali” di Novi che si sviluppava al di fuori della parte nobile dell’antico paese. Borgo Barri era un piccolo centro industriale: vi si trovavano la “ferraria” (fino al Seicento si estraeva il ferro dalle caratteristiche “terre rosse” del Monte Gelbison); la “battendera” (la gualchiera per la follatura delle stoffe); il molino e il frantoio (meglio noto come “trappito”). All’inizio di via Barri c’è la Cappella di San Rocco, cui i novesi si rivolsero con fervore durante la peste del 1656. Poco più avanti troviamo l’ex Chiesa dell’Annunziata, risalente al XVI secolo, che all’epoca aveva annesso il cosiddetto ospedale.
Alzando gli occhi non si può non notare la montagna sacra: il Monte Gelbison, il gigante della Valle di Novi. Sulla vetta a 1707 metri si trova il Santuario della Madonna del Sacro Monte di Novi Velia, noto anche semplicemente come Santuario del Monte Sacro o Madonna del Monte.
Il sito religioso è meta di pellegrinaggi fin dal XIV secolo ed è uno straordinario punto panoramico sul Cilento, sul Vallo di Diano e sul Golfo di Salerno.
Probabilmente, nello stesso punto in cui ora è presente il santuario mariano, sorgeva un antico tempio religioso pagano. Il sito religioso era già conosciuto al tempo dei Saraceni: infatti Gelbison sembra derivare da Gebel-el-son, che in arabo significa “monte dell’idolo”.
Si ritiene che la fondazione del santuario cristiano risalga al X o XI secolo ad opera di monaci italo-greci che all’epoca dei Longobardi si insediarono nel Cilento. In seguito il sito, ampliato e divenuto santuario, fu posseduto dal vescovo di Capaccio ma nel XIV secolo fu concesso in uso ai monaci della Congregazione dei Celestini di Novi, che lo mantennero sino al XVIII secolo.
La chiesa principale è a tre navate divise da colonne in pietra e la volta a botte reca decorazioni ad affresco. Oltre ad essa, fanno parte del complesso la Cappella di San Bartolomeo, il convento, la foresteria e altre piccole pertinenze civili e religiose. Nel presbiterio sono collocate pregevoli statue di legno tra le quali la statua lignea della Vergine, viso bruno allungato, occhi alla greca e una figura slanciata che sembrano rifarsi all’iconografia bizantina, rappresentata seduta col Bambino sul braccio sinistro e con la mano destra atteggiata a distribuire favori divini. Il santuario è meta di pellegrinaggi sin dal Trecento. Attualmente è aperto ai pellegrini dal martedì di Pentecoste sino alla fine del periodo estivo.
Per raggiungere la vetta ove è situato il Santuario mariano si possono seguire a piedi i secolari sentieri dei pellegrini oppure si possono percorrere le strade da Vallo della Lucania o Rofrano. Lungo il percorso per giungere in cima il pellegrino incontra diversi luoghi ove la devozione popolare ritiene sia apparsa la Madonna, nonché la sorgente di Fiumefreddo (conosciuta anche come Acquafredda), con l’abbeveratoio per gli animali. Da segnalare che nei pressi del santuario è presente un monticello di pietre, formatosi con quelle pietre portate nei secoli dai pellegrini in segno di devozione, ove si erge una croce di ferro e da questo punto comincia la Via Crucis in maioliche settecentesche, che porta davanti al complesso del santuario.
Numerose sono le tradizioni popolari collegate al pellegrinaggio al Monte Sacro. Tra le più note si ricorda la preparazione e il trasporto al santuario delle cosiddette “cente”, ovvero insieme di ceri votivi che i pellegrini portano in dono alla Vergine. Sono conficcati su ossature di legno leggero, a forma di barca o di torre, a seconda del paese di provenienza e addobbati con nastri multicolori. A volte i pellegrini portano anche i “torcioni”, grandi candele dipinte, come ceri pasquali. Alcuni pellegrini prima di entrare in chiesa fanno sette giri intorno alle sue mura, tradizione misteriosa. Altri compiono in ginocchio il percorso dalla soglia all’altare, implorando la Vergine con gli appellativi più belli. Fino a qualche decennio fa era d’uso nel Cilento giungere sul Monte Sacro al termine di un cammino a piedi che poteva durare anche qualche giorno.
Una delle leggende del Monte Sacro narra che in età longobarda, due cavalieri giunsero sulla vetta. Mentre uno varcò il portale della chiesa per ringraziare la Madonna, l’altro rimase a schernire da fuori l’altro cavaliere per questo suo gesto di “debolezza”, poco confacente a un vero guerriero. Ma all’improvviso il suo cavallo si imbizzarrì e raggiunse l’orlo del precipizio adiacente la chiesa pronto al salto nel vuoto. Allora il cavaliere implorò l’aiuto della Madonna che gli salvò la vita facendo arrestare il cavallo su un pinnacolo di roccia calcarea sporgente sullo strapiombo. Perciò lo spuntone roccioso è detto “ciampa (cioè zampa) di cavallo”. Dal racconto deriverebbe l’usanza, da parte dei pellegrini, di lanciare monetine (un tempo si lanciavano sassi del suolo sacro) nel tentativo di centrare lo spuntone di roccia. Secondo la tradizione, se nel tentativo vi riesce una donna nubile, lei ritornerà al santuario da sposata, se un anziano, egli ritornerà al santuario l’anno successivo.
Sono varie le specialità enogastronomiche di Novi Velia. Dagli insaccati (capicolli, prosciutti, soppressate), ai vari formaggi (primo sale di capra, caciocavallo di mucca podolica, mozzarelle nella mortella), al pane casereccio con farina di “carusedda” (grano duro), alla pasta fatta in casa (fusilli, cavatielli, tagliolini), alle polpette di patate, ai tanti dolci tradizionali (“scauratieddi” col miele, cannoli con crema e cioccolata, struffoli).
Ma il prodotto tipico più conosciuto e originale di Novi Velia è la famosa e gustosa “muzzarella ind’à murtedda”. La tipica mozzarella è un formaggio a pasta filata ottenuto dalla trasformazione del latte vaccino, di forma piatta e allungata, che assume dal mirto in cui viene riposta gli umori e gli odori. Il termine “mortella” è l’italianizzazione del dialettale “murtedda”, con cui si identifica la pianta del mirto, i cui rametti appaiono artisticamente disposti attorno alle mozzarelle, apparentemente per scopi puramente ornamentali. Eppure, l’usanza risponde ad esigenze pratiche: in un’area dove il primo prodotto caseario è il caciocavallo, che nasce dalle vacche podoliche al pascolo, non tutto il latte viene impiegato per ottenere il formaggio stagionato. Con una parte, infatti, si produce un fresco formaggio di giornata da consumare al più presto: la mozzarella stracciata.
Così, mentre il caciocavallo è lasciato a stagionare in altura, la mozzarella è trasportata a valle per l’immediato consumo. E un tempo, i “pastori casari”, in mancanza di frigoriferi e mezzi di trasporto veloci, scoprirono le virtù delle foglie di mirto quale protezione naturale per le mozzarelle. Avvolto nella mortella, il formaggio non solo conserva intatta la sua freschezza, ma dai rametti e dalle foglie trae l’aroma e il profumo di questo arbusto tipicamente mediterraneo, acquistando un gusto inconfondibile.
Parte del merito spetta anche alla speciale dieta delle mucche: nei pascoli del Cilento infatti, fra faggete, castagneti e macchia mediterranea, esse hanno a disposizione una straordinaria varietà di essenze erbacee il cui aroma passa dal latte al formaggio. Da consumare da solo o accompagnato a contorni di verdure e salumi, ma mai trasformato nella preparazione di più elaborati piatti. Pena la perdita delle peculiarità del prodotto fresco, con le sue inimitabili fragranze ed essenze. La mozzarella ind’à a murtedda è celebrata nella sagra a essa dedicata che si tiene in agosto nel giardino presso l’Ex Convento dei Celestini.
Un evento ispirato ai pellegrinaggi e ai secolari canti devozionali alla Madonna del Monte Gelbison. È il Festival degli Antichi Suoni, che va di scena per tre giorni, nell’ultimo week-end di agosto, nel borgo medievale di Novi Velia. Il paese si trasforma in un grande palcoscenico a cielo aperto con decine di concerti e performance spontanee di zampognari, organettisti, ciaramellisti che arrivano da ogni parte del Sud Italia, in particolare da Calabria, Basilicata e Puglia. Vengono curati anche laboratori di danza e musica popolare nel suggestivo Convento dei Celestini.
Il Festival è inoltre l’occasione per promuovere le tipicità enogastronomiche locali, con numerosi stand che offrono le prelibatezze del territorio, dalla mozzarella di mortella ai cavatelli. L’evento è anche lo scenario del confronto tra canti devozionali di tre diverse aree geografiche: il Monte Gelbison, il Pollino e il Vesuvio. In alcune edizioni la rassegna è stata anche il contesto di concerti di musica internazionale. La manifestazione inizia tradizionalmente con la processione della Madonna del Monte per la strada principale del paese fino in Piazza Longobardi, sede principale della festa
Per Info: Comune di Novi Velia 0974 65031 – 0974 65078
20 Maggio 2020
Maria Vittoria
Più che un articolo è una vera e propria guida, con tutti i dettagli per tuffarsi completamente in questa meravigliosa realtà ricca di storia e tradizione. Bravissimo Orlando a scrivere e racchiudere così bene il tutto.
Antonia Merola
Bravissimo caro Orlando vi erano alcuni accorgimenti che non conoscevo mi hai arricchito il sapere del nostro paesello complimenti
Iaquinta Giuseppe
Complimenti, una guida preziosa ed esaustiva sui tesori di Novi e del suo territorio. Evidente la cultura e la professionalità dell’Autore. Traspare inoltre tanto cuore, tanto amore e tanta dedizione per la sua Civitas.
Grazie Orlando